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Roberto Di Stefano: “Il sindacato militare è un sindacato reale?”

L’Aquila. “E’ dal 2018 che seguo in prima persona l’evoluzione che ha avuto il compito di portare nel mondo militare la possibilità di avere una rappresentanza sindacale, ma quello che c’è da domandarsi è se questo processo ha veramente creato una realtà idonea a costituire una reale difesa dei Diritti dei Lavoratori Militari o se ha gli strumenti idonei per farlo.

Se da una parte l’articolo 39 della Costituzione indica chiaramente che i sindacati devono essere liberi abbiamo constatato che il mondo politico, influenzato dalle élites militari, ha promulgato una legge e dei decreti collegati che hanno compresso non solo la possibilità di costruire uno strumento veramente terzo, ma hanno continuamente limitato la libertà fissata dalla Costituzione che su questo specifico aspetto sociale ha fatto uno sforzo enorme per non permettere che il corporativismo di eredità fascista inquinasse la difesa dei Diritti e la necessità indispensabile affinchè il sindacato rimanesse terzo e libero (è inaccettabile la scusa della tipologia specifica del lavoro delle Forze dell’Ordine e Armate che mescola erroneamente doveri e diritti, danneggiando una vera tutela).

Purtroppo mi sembra che le sigle sindacali (parlo di quelle che conosco, relative all’Arma dei Carabinieri) invece di concentrarsi su lotte comuni per impedire le influenze di chi continua a confondere l’azione di comando con i Diritti, si siano concentrate sul fare deleghe e meno sulla necessità universale di combattere per una legge giusta. Se comprendo quelle sigle affettuosamente chiamate “sindacocer” perchè vittime della sindrome di Stoccolma a causa dei loro leader così agganciati agli stati maggiori per contratto (e per dei benefit oggettivamente vantaggiosi), mi sorprendono negativamente, e con estremo dispiacere, quelle sigle che sebbene siano partite basandosi su valori di terzietà, di lotta contro individualismi e del creare verticismo anche al loro interno, hanno presto abbandonato la spinta “rivoluzionaria” con una finta democrazia piegata a una dittatura della maggioranza, scordandosi delle regole fissate con gli statuti e dimenticando l’importanza del confronto e del porsi dei dubbi per avere visioni universali e omnicomprensive.

Che poi, mentre queste ultime sembrano ripercorrere le strade politicamente fallimentari della defunta rappresentanza copiandone la filosofia della occupazione e del consenso attraverso il poltronismo, omologandosi al datore di lavoro, altre sigle che sono partite da mentalità antiche mi sembra stiano facendo dei passi da gigante per svecchiarsi da mentalità anacronistiche cercando persone competenti in modo da prepararsi adeguatamente per le lotte sindacali.

La scorsa settimana un alto dirigente dell’Arma durante un incontro qui a L’Aquila ha detto diverse cose condivisibili, ma ha anche affermato, sicuramente in buona fede, che il sindacato deve pensare al bene dell’istituzione. Una cosa completamente sbagliata, dettata dal fatto che ancora non tutti comprendono cosa deve essere il sindacato, né se ne preoccupano, mentre i nostri dirigenti sono molto attenti, giustamente, ai loro vantaggi (in questo hanno molto da insegnare al mondo sindacale). Beh, è bene ricordare, a Tutti, che il sindacato deve pensare esclusivamente al Lavoratore; se pensa all’istituzione o al datore di lavoro sta facendo altro e non può certo definirsi “Sindacalista”.

Non possiamo aspettare che altri facciano delle lotte per Noi, Lavoratori Militari, nè tantomeno che il datore di lavoro possa comprendere cosa ci spinge ad impegnarci per creare un ambiente lavorativo che non sia tossico, che generi la giusta serenità e protegga la giustizia sociale anche per chi si impegna quotidianamente per alimentare gli stessi aspetti nelle Comunità dove operiamo. Dovremmo cominciare a lavorare insieme, magari tappandoci il naso…”. Si legge così in una nota di Roberto Di Stefano, dirigente sindacale dei Carabinieri.

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