Cultura e eventi

Istituto Alberghiero ‘De Cecco’, evento con il Generale Angiolo Pellegrini per Premio ‘Borsellino’

Pescara. “Per poter fare la guerra alla mafia occorre essere uomini liberi. Il sindaco di Palermo Salvo Lima non era libero perché aveva bussato alla porta dei mafiosi per chiedere voti e quando la mafia ha bussato alla sua porta per chiedere la restituzione dei favori, non ha potuto dire di ‘no’ e in una notte ha dovuto firmare 400 licenze edilizie per la costruzione di 4mila palazzi di 15 piani a Palermo e consentire alla mafia di riciclare il denaro sporco. Ai ragazzi dico oggi di essere sempre liberi: non vi legate a nessuno per far valere i vostri diritti, fatevi rispettare ma sempre in modo legale, e quando non accade, ribellatevi, non diventate schiavi di alcuno, perché quando si chiedono favori o raccomandazioni, si diventa vassalli, siate orgogliosi di essere onesti, di non farvi corrompere. Siate orgogliosi della vostra libertà e non abbassate mai la guardia, perché la mafia c’è ancora, oggi è trasparente, invisibile, ha interesse che se ne parli sempre meno e intanto continua a operare, è quella che succhia il potere economico in tutte le regioni, non regala niente a nessuno e proprio perché è invisibile è più forte”. Lo ha detto il Generale dell’Arma dei Carabinieri Angiolo Pellegrini, Comandante della Sezione Antimafia di Palermo dal 1981 al 1985, protagonista oggi del primo evento organizzato dall’Istituto Alberghiero Ipssar ‘De Cecco’ di Pescara, nell’ambito del XXIV Premio Nazionale ‘Paolo Borsellino’. Presenti all’iniziativa, oltre al Generale Pellegrini, uomo di fiducia del Pool antimafia di Falcone e Borsellino, autore di alcune delle più importanti indagini nei confronti di Cosa Nostra e del volume ‘Noi, gli Uomini di Falcone – La guerra che ci impedirono di vincere’, la Dirigente dell’Istituto Alberghiero Ipssar ‘De Cecco’ Alessandra Di Pietro, organizzatrice dell’iniziativa, il docente e attore Edoardo Oliva che ha letto un brano del volume, il Procuratore Aggiunto di Pescara Anna Rita Mantini, e la Dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo Pescara 10 Stefania Petracca, classi dell’Istituto Alberghiero, delle scuole medie ‘Carducci’ e ‘Montale’, e i rappresentanti delle Forze dell’Ordine, il sindaco Carlo Masci, il Vicepresidente del Consiglio regionale Domenico Pettinari, Daniela Puglisi per l’Ufficio Scolastico Provinciale, e l’ex sindaco Marco Alessandrini, oltre alle docenti di riferimento del Premio Borsellino Rosa De Fabritiis, Renata Di Iorio e Rossella Cioppi.
“Il Premio Borsellino inizia con l’evento odierno, che ha aperto a Pescara e nella nostra scuola l’intera manifestazione che sabato 26 vivrà il momento clou. La giornata – ha ricordato la Dirigente Di Pietro – è una tappa nel percorso di costruzione della legalità che è fatta di pensieri, di concetti alti, che vanno sedimentati nel tempo, la cultura della legalità contrapposta alla subcultura dell’illegalità da combattere nel quotidiano. La scuola oggi lancia una sfida importante e si assume la responsabilità di portare avanti questa battaglia con la collaborazione delle Istituzioni e costruendo una rete formativa tra le scuole del primo e secondo ciclo. Il senso dell’incontro oggi non è solo quello di raccontare episodi drammatici della storia del nostro Paese o della guerra sanguinaria di Cosa Nostra, ma di ricordare ai ragazzi che l’indifferenza, l’omertà, sono i più grandi alleati dell’illegalità e della mafia”. “Quella odierna è un’occasione fondamentale per arricchire l’offerta formativa per i nostri studenti – ha aggiunto la dirigente Petracca – perché i ragazzi hanno modo di confrontarsi con un testimone della guerra alla mafia e la più alta forma di educazione passa proprio attraverso l’esempio”. “Nella nostra memoria – ha detto il sindaco Masci – è indelebile il ricordo di Borsellino, ma soprattutto la consapevolezza di cosa c’era dietro quella figura di magistrato, ovvero l’umanità, il coraggio, il legame con la famiglia, pensiamo che Borsellino è morto mentre andava a trovare la mamma una domenica a pranzo. Ma se la mafia ha ucciso i due magistrati, non ha ucciso le loro idee che devono continuare a camminare sulle gambe dei nostri ragazzi attraverso il rispetto della legge, ma anche del territorio, del nostro vicino, della comunità”. Quindi la parola al Generale Pellegrini: “Non sono stato un eroe, ho solo fatto il mio dovere e ho avuto la fortuna di restare vivo, uno dei pochi. Per questo, finito il servizio attivo, ho deciso di scrivere un libro per lasciare una traccia degli anni a Palermo e del lavoro condotto da due grandi uomini come Falcone e Borsellino. Io racconto cos’era la mafia in quegli anni, una mafia che oggi ha cambiato aspetto, ma è sempre pericolosa perché oggi è trasparente, non si fa notare, ma lavora in Italia, all’estero, in Germania, in Lombardia, in Veneto e purtroppo anche in Abruzzo. E anche oggi la si combatte con la legalità e portando avanti le idee di chi è caduto sotto i colpi della mafia. Ho quasi 80 anni e le mie gambe cominciano a essere stanche, e allora sta ai nostri ragazzi raccogliere il testimone, ai nostri politici che devono far sì che ai concorsi vengano premiati i migliori e non i più raccomandati. Negli anni ’80 la mafia era fortissima e ricchissima e pensava di poter comprare tutto con i soldi: c’era il Principe di Villa Grazia, Stefano Bontade, zotico e analfabeta, ma ricchissimo che aveva un teatro dentro la sua Villa e agli spettacoli partecipavano attori famosi e, tra il pubblico, funzionari dello Stato. La mafia si era arricchita con il traffico di droga, di eroina, venduta negli Stati Uniti da dove arrivavano centinaia di migliaia di dollari. E quando ebbe bisogno di riciclare quei soldi, andò a bussare alla porta del sindaco di Palermo, Salvo Lima, che non poteva rifiutare e ha dovuto firmare in una notte 400 licenze edilizie per permettere a Rosario Spatola di costruire 4mila palazzi a Palermo. Quando però quegli stessi politici non sono riusciti a fermare il maxiprocesso di Falcone e Borsellino, la stessa mafia li ha uccisi. Falcone ha smantellato il sistema perché ha cambiato il metodo investigativo, correndo dietro ai soldi, sfidando il segreto bancario. E qualcuno ha tentato di fermarci, chiedendo al Procuratore Chinnici di distogliere Falcone dalle indagini sulla mafia, ma Chinnici che era una persona dignitosissima costituì il pool antimafia. Qualcuno, però, non ci ha voluto far vincere la guerra alla Mafia e lo ha fatto lasciando solo Falcone: nell’84, arrivato il giudice Caponnetto, dopo le dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta e i 366 mandati di cattura, la mafia capì che questa volta avevamo fatto le cose in modo serio, e per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica, alla vigilia di Natale dell’84, mise la bomba sul treno Rapido 904. Ma si comprese subito che non era terrorismo, ma un attentato di mafia, e allora la mafia comprese che dovevano combattere Falcone. Per prima cosa – ha ricordato il Generale Pellegrino – gli hanno tolto tutti i più stretti collaboratori, me compreso, poi il primo attentato fallito, che però non fermarono Falcone, arrivando alla sentenza definitiva del maxi-processo in Cassazione con 19 ergastoli ai capimafia, e 2.265 anni di reclusione ai gregari. Avevamo dimostrato che la mafia esisteva, che aveva un vertice, chiamato ‘Papa’, tale Michele Greco, e aveva una struttura verticistica addirittura ecclesiastica. A quel punto Falcone andava punito, andava ucciso, nella sua Palermo e in modo eclatante, per evitare che andasse a capo della Procura Nazionale Antimafia a Roma”. “Nella mia esperienza di magistrato – ha raccontato il Procuratore Mantini – anch’io ho avuto un’esperienza di scorta, perché anche in Abruzzo esiste un sistema mafioso scoperto negli anni dell’attività investigativa a San Salvo, dove si facevano saltare i cantieri con ordigni rudimentali per la guerra del calcestruzzo. E la scorta colpisce tutto il mondo degli affetti, la famiglia, mio figlio se ne vergognava. Nessun territorio può dirsi indenne dalla mafia, Abruzzo compreso, e oggi il settore professionale più a rischio d’infiltrazione mafiosa è l’impresa del turismo e alberghiera dov’è più difficile il controllo, e poi i rifiuti, l’ambiente: i processi sull’ambiente sono processi di mafia e purtroppo l’Abruzzo ha il triste primato della megadiscarica di Bussi della Montedison, un processo con scarsi risultati, perché avevamo appena 4 testimoni e solo uno ci ha raccontato come funzionava il sistema, come i rifiuti pericolosi venivano trasferiti da Porto Marghera all’Abruzzo perché noi eravamo poveri e tutti avevamo bisogno di una fabbrica che faceva lavorare tutto il bacino pescarese, per loro la fabbrica era la vita e non si poteva raccontare di come i treni arrivavano di notte e come venivano interrati i rifiuti a mano, pur nella consapevolezza che tutti si sarebbero ammalati di tumore. La mafia nasce dove lo Stato è manchevole nel riequilibrare le diversità economiche e sociali”. “Gli inquirenti – ha commentato il vicepresidente Pettinari – sono il nostro presidio di legalità, ma anche la politica deve legiferare di più e meglio per dare a quegli inquirenti gli strumenti per lavorare. Il ‘caso’ Bussi è stato possibile perché c’è stato chi si è voltato dall’altra parte e la necessità del lavoro ha prevaricato sui diritti umani”. “La politica – ha subito aggiunto l’ex sindaco Alessandrini – deve fare tanto, ma anche i cittadini devono dare di più, perché lo Stato siamo noi”. Infine il saluto di Daniela Puglisi, dell’Ufficio Scolastico Provinciale: “Il dovere della scuola e degli studenti è quello di onorare la memoria di Falcone, di Borsellino e di tutti i martiri della mafia, ricordando le parole di Borsellino, quasi un testamento: ‘Se i giovani negheranno il proprio consenso, anche l’onnipotente mafia sparirà come un incubo’”. A chiudere l’evento gli studenti che hanno dato vita a una performance con le frasi più celebri di Giovanni Falcone.

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