Cronaca

Carceri, preghiera mondiale per il Papa proposta Cappellani carceri italiane ad Asisi

Roma. Si sono conclusi ad Assisi gli annuali esercizi spirituali dei Cappellani delle Carceri dall’11 al 15 novembre, animati dal teologo padre Ermes Ronchi. Ad Assisi il prossimo convegno pastorale per gli operatori penitenziari dal 26 al 28 ottobre nel 2020 e la proposta che la giornata Mondiale dei poveri possa diventare anche la preghiera mondiale dei carcerati per il Papa è quanto emerso nell’ambito degli esercizi promossi dall’Ispettorato Generale dei cappellani delle Carceri, guidato da don Raffaele Grimaldi. «In questi giorni siamo stati chiamati a riflettere insieme con la guida di padre Ronchi soprattutto sul tema della Misericordia che, per noi cappellani, è il pane quotidiano – ha affermato don Raffaele Grimaldi- . Tutti noi che siamo Cappellani nelle carceri siamo “uomini di galera”, siamo stati chiamati a discutere e a riflettere sugli uomini imprigionati dalla forza del male, dal potere e dal denaro. Noi siamo chiamati non a giudicare e a schiacciare quelli che vivono nelle carceri, ma a riflettere sugli sbagli degli altri per infondere loro la speranza di un futuro diverso. Un altro aspetto emerso dalle meditazioni – ha soggiunto l’Ispettore dei cappellani – è che risulta necessario educare la comunità civile e le nostre comunità cristiane alla Misericordia. Noi sappiamo che la giustizia senza Misericordia è vendetta e quindi abbiamo la missione di testimoniare nella società i valori della Misericordia e della Speranza. Tutto ciò è fondamentale e ci riporta allo stile di Gesù che quando incontrava un peccatore non lo giudicava, né lo schiacciava nella miseria e nell’errore, ma cercava di trasmettergli amore: il peccatore si redimeva perché si sentiva amato in modo sincero. Perciò il nostro compito è quello di indicare la strada al cambiamento, testimoniando il Risorto. Gesù, infatti, riversava il Suo profondo amore nell’altro. Dunque, – ha esortato don Grimaldi – è necessario fare in modo che le carceri non siano luoghi di pena, ma luoghi di riscatto morale che aprono alla Speranza e al futuro. Dio regala gioia, ha detto Ermes Ronchi, Egli regala gioia quando nel cuore dell’uomo c’è la Misericordia che umanizza il mondo e le nostre carceri. Se manca l’aspetto spirituale, i penitenziari diventano soltanto luoghi dove si sconta la pena e un fratello o una sorella imprigionati vengono dimenticati nella dimensione umana. Per noi Cappellani e operatori volontari – ha sottolineato don Raffaele – la Misericordia è, dunque, il motore che serve a mettere in cammino l’esistenza dell’umanità e di chi si sente soprattutto abbandonato. Spesso si tende a confondere la Misericordia con il buonismo, invece essa è la sola dimensione che ci aiuta a prendere coscienza degli errori commessi. La Misericordia perciò è un invito alla persona che ha sbagliato a fare il primo passo per cambiarla. E’ fondamentale, quindi, agire secondo la Misericordia perché spesso la Giustizia arriva in ritardo mentre la Misericordia giunge in anticipo: questo è un pensiero diventato tesoro per tutti noi che in questi giorni abbiamo riflettuto su tale tema. Infine, – ha indicato don Raffaele – dobbiamo avere anche una grande attenzione nei confronti delle vittime, verso coloro che hanno subito violenza, verso chi è stato abusato dalla malvagità dell’uomo senza scrupoli per fasciare le loro sanguinanti ferite . Per concludere, l’attenzione verso i poveri è stata il motivo di tutti i cappellani per chiedere una preghiera comunitaria mondiale nelle carceri: un momento di preghiera per il Papa perché i poveri che sono nelle carceri possono amplificare e aiutare a comprendere la povertà vissuta negli istituti di detenzione. Coloro che sono nelle nostre carceri sono “poveri” che hanno bisogno soprattutto di riscatto e di cambiamento come esorta Papa Francesco, invitando tutti a vivere in un clima di povertà che avvicini l’uomo ai più deboli e, di conseguenza, anche ai carcerati affinché la società non orienti lo sguardo verso la scarto ma verso il recupero e il reinserimento sociale. È più facile reprimere che educare e direi che è anche più comodo – ha ricordato il Santo Padre ai partecipanti all’incontro internazionale per i responsabili di pastorale carceraria – Negare l’ingiustizia presente nella società è più facile e creare questi spazi per rinchiudere nell’oblio i trasgressori che offrire pari opportunità di sviluppo a tutti i cittadini. È una forma di scarto, scarto educato, tra virgolette”.

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