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Sogno di una notte d’inverno – Un racconto per il giorno della Befana

C’era un bambino di sette anni di nome Mario che viveva in un piccolo villaggio di montagna, una montagna che rassomigliava molto al Gran Sasso. Del resto le montagne, in fondo, si rassomigliano tutte, come i visi dei bimbi appena nati e quelli delle persone molto vecchie. Viveva con la madre e con la vecchia nonna. Il papà non l’aveva mai conosciuto, perché era morto quando lui era appena nato, vittima di un incidente sul lavoro in una miniera del Belgio.

Aveva sentito parlare, a scuola dalla maestra, di una buona vecchietta chiamata “la Befana” che tutti gli anni, la notte tra il 5 e il 6 gennaio, quando tutti dormivano e il paese era avvolto in una coltre di neve, andava a cavallo di una scopa a consegnare regali a tutti i bambini, buoni e meno buoni, avendo solo cura, per quelli un po’ meno buoni, di aggiungere un pezzetto di carbone nella calza che trovava appesa accanto al focolare. Mario aveva appreso dalla mamma che la Befana custodiva tutti i doni da dare ai bambini in un immenso magazzino, fatto di molte stanze, situato sotto una grande montagna, come quella che Mario vedeva tutte le mattine attraverso i vetri della sua cameretta.

Come nell’anno precedente, Mario aveva chiesto alla vecchietta che gli portasse in regalo una bella bicicletta; ma come l’anno precedente era rimasto deluso, perché la mattina del 6 gennaio nella calza aveva trovato solo dolcetti e frutta. La madre gli aveva spiegato che la Befana non sempre poteva accontentare tutte le richieste che i bambini scrivevano nelle loro letterine, aggiungendo che questo lo avrebbe capito meglio quando sarebbe stato grande. «Ma perché – aveva chiesto Mario un po’ risentito – la Befana non ha nel suo magazzino tutti i doni che i bimbi chiedono?». E la madre allora gli narrò la storia di quella strana vecchia.

«C’era una signora molto anziana, – prese a raccontare – un po’ stravagante e un po’ maga, che viveva in una casetta un po’ malconcia, vicina a un bosco, poco distante da un villaggio di montagna simile a quello nostro. Usciva tutte le mattine a raccogliere la legna da ardere, e poi sedeva vicino al focolare in compagnia del suo gattino. Non vedeva mai nessuno, e nessuno mai la cercava. Ma una fredda sera di gennaio sentì bussare alla porta. Esitò molto prima di aprire, ma poi si fece coraggio e aprì l’uscio. E chi si vide davanti? Tre signori che erano appena scesi dai loro cammelli. Erano molto ben vestiti e dissero di essere dei Re Magi. «Come quelli che abbiamo visto al presepe in Chiesa?» chiese Mario. «Sì, certo: erano proprio quelli», rispose la madre. «Chiesero alla vecchietta, con un tono di voce molto gentile, di indicare loro la strada per Betlemme, dove sapevano che era nato un bambino di nome Gesù a cui intendevano portare i loro doni.

Chiesero anche a Befana (così si chiamava la strana vecchietta) di accompagnarli. Befana indicò loro la strada che conduceva a Betlemme, ma non se la sentì di seguirli: faceva troppo freddo, e temeva per la sua già malferma salute. Appena quegli strani signori furono partiti, Befana si pentì di non essere andata a conoscere un bambino che pensò dovesse essere molto straordinario, se dei ricchi re si erano mossi da molto lontano per rendergli omaggio. Cercò allora di raggiungerli, ma non riuscì a trovarli.

Decise allora di dar fondo a tutte le sue risorse di maga e fece apparire all’istante un’immensa quantità di giocattoli, che cominciò a distribuire a cavallo di una scopa in tutte le case dove stava un bambino, nella speranza che almeno uno di essi fosse Gesù. «E da allora – concluse la mamma di Mario – la Befana, la notte tra o 5 e il 6 gennaio, continua a distribuire i regali, che nel frattempo ha raccolto in un grande magazzino sotto una grande montagna. Ma non sempre può accontentare i bimbi, perché non le sono rimasti molti giocattoli, e forse non ha le biciclette, che sono giocattoli moderni. Può darsi che riuscirà a fabbricarne una l’anno prossimo».

Il racconto della mamma aveva alquanto rassicurato Mario. C’era, per la verità, oltre alla povertà, un altro più serio motivo che aveva sconsigliato alla buona donna di non comprare una bicicletta a Mario. Al bimbo, già da tempo claudicante, era stata diagnosticata una grave malattia ad una gamba, che si temeva dovesse comprometterne a breve l’uso. Di lì a poco il bambino seppe di doversi sottoporre ad un’operazione chirurgica in un ospedale molto lontano. La mamma, nei giorni che precedettero l’intervento, disse a Mario di star tranquillo e di pregare la Madonna, che avrebbe fatto andare tutto bene. Dopo l’operazione, perfettamente riuscita, il bambino dovette trascorrere un lungo periodo di cure, e continuare poi, una volta tornato a casa, una lunga riabilitazione. In tutto questo periodo, Mario, divenuto un ometto, non si perse d’animo. Le cure e il lungo esercizio riuscirono a salvare la gamba, anche se rimase sempre un po’ claudicante.

Aveva spesso sognato i Re Magi e la Befana. Diventato giovane, si sposò ed ebbe un figlio, che chiamò Francesco. Aveva sei anni Francesco quando il papà lo vide scrivere, il pomeriggio del 5 gennaio, una letterina alla Befana in cui le chiedeva di portargli una bicicletta. «Francesco – gli disse – ti voglio dire una cosa molto importante. Per quest’anno non chiedere alla Befana di portarti una bicicletta: quella te l’ho già comprata io, come piace a te». E aggiunse, all’indirizzo del bambino, che lo guardava stupito e raggiante: «Scrivi, solo per quest’anno, che ti porti tre sacchetti, con dentro tre regali che ti serviranno per tutta la vita: SOGNI, PAZIENZA, CORAGGIO».

Francesco guardò Mario senza dire niente, poi aggrottò le sopracciglia, strinse la boccuccia, e prese a scrivere, molto lentamente: S-O-G-N-I…. E’ una storia, questa, che ho sentito raccontare da un bambino che mi è venuto in sogno una di queste notti, e che mi è parso di aver sempre conosciuto. Mi sono svegliato che ancora non era l’alba. Una luce fioca sbucava dalle tapparelle della finestra. Nella stanza ancora buia, mi è sembrato di udire un leggero fruscìo d’ali, e poi nulla più… Mi sono riaddormentato.

Giuseppe Lalli

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