di Massimo Pasqualone
Natalia Cataldi attinge, nel suo delicato percorso artistico, ai miti della storia, alle storie che divengono universali nelle coscienze di tutti e che si prestano, meglio di altre, ad essere trasformate in opera d’arte, una sorta di mito nel mito, di storia nella storia, di capacità di vivere al quadrato l’eternità.
DaIpazia d’Alessandria fino a Pinocchio e al sogno acquatico, la pittrice pugliese descrive con l’olio sulla tela il mito, nel ricordo imperituro di un messaggio che non deve scomparire, sovente affiancato ai correlativi oggettivi della modernità.
In ogni opera troviamo poi elementi tratti dalla storia o dalla leggenda, inseriti in un paesaggio sospeso in una sorta di aura metafisica, in uno spazio senza spazio ed in un tempo senza tempo.
È chiaro che la pittrice si lascia attrarre dal mito di Ipazia, simbolo della sapienza, della filosofia, dell’arte, di un tempo che sempre si ripropone, come già accadde per il soggetto dell’omonimo dipinto eseguito nel 1885 dal pittore preraffaellita Charles William Mitchell che però, nell’opera realizzata da Natalia Cataldi, sembra sovrastare il mondo e con gli strumenti della scienza, della matematica ed il riferimento alla Biblioteca d’Alessandria, guidarlo, pur con le ferite causate dalla barbarie omicida raccontata dalla leggenda.
Per questo, e l’opera in questione sembra attingere a queste riflessioni, Rudolf Steiner scrisse: “Ella costrinse ai suoi piedi non soltanto i vecchi pagani, ma anche cristiani di profondo sapere e di acuta penetrazione come Sinesio. Ipazia di Alessandria esercitava un influsso potente; in lei risuscitava l’antica sapienza pagana di Orfeo tradotta nell’elemento personale.”
E Mario Luzi dedicò ad Ipazia un poemetto drammatico nel 1978, Libro di Ipazia, nella quale così la definisce:
Ipazia è la forza che accelera il moto
Ipazia è una forza non consumata,
un dente non eroso dall’attrito.