Sui sentieri della bellezza

Rino Panza, 007 del dialetto

di Massimo Pasqualone

In un volumetto edito dalla Settembrata Abruzzese nel 1994 intitolato Miscellanea, Rino Panza parlava degli 007 del dialetto, intendendo coloro che studiano il dialetto e l’immenso patrimonio culturale orbitante intorno agli studi sul dialetto.

Rino Panza era uno straordinario 007 del dialetto: nato ad Introdacqua (AQ) il 6 maggio del 1927 e morto nel 2010, è stato prima insegnante poi direttore didattico, aperto ad una incredibile serie di interessi (“per sentirsi vivo, amava dire), difficili da rintracciare: collaboratore di riviste e quotidiani, poeta e musicista (tra le altre musiche aveva composto nel 1981 la colonna sonora della Città viva, un lavoro teatrale di Ghigo De Chiara, elaborato dalle Novelle della Pescara di D’Annunzio, con interpreti del calibro di Ugo Pagliai, Paola Gassman; Renato De Carmine, rappresentato in tutta Italia), direttori di cori folcloristici, amministratore oculato della cosa pubblica.

Presentando il suddetto volume, Antonio De Laurentiis, Presidente della Settembrata Abruzzese, scriveva: “La sua attività primaria di uomo di scuola e l’intensa attività nel campo culturale non gli hanno impedito di partecipare attivamente alla vita sociale, come onesto e oculato amministratore della cosa pubblica. I suoi titoli di merito nell’ambito della cultura abruzzese sono lo specchio di una poliedrica ed effervescente personalità e costituiscono un elenco troppo lungo, che comunque i cultori e gli appassionati delle nostre cose ben conoscono.

Tra immensa produzione letteraria vogliamo ricordare Lu paese mie del 1958, con la prefazione di Ernesto Giammarco, Le scale del 1973, il già citato Miscellanea del 1994, Lu file de la vite del 1997. Incluso in diverse antologie, di lui hanno scritto, tra gli altri, Ottaviano Giannangeli nel 1959 in Operatori letterari abruzzesi ed Ernesto Giammarco ne La poesia dialettale abruzzese dell’ultimo trentennio. (1945/75).

Della sua poesia Nicola Fiorentino scrive che è “una sorta di parlare calmo e disteso, di prosa ritmata e volutamente dimessa, a volte tesa a tradurre gli umori del mono-logo interiore, altre volte a dissacrare mode sociali e politiche, scanzonato pensosa e malinconica, sempre comunque elegante e ben consapevole dei propri mezzi stilistici” mentre Mario Giammarco che “richiama fortemente ai valori perenni della vita, interpretata in chiave di schietta autenticità e affettività”.

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