Parlane con Enza

Blackout challenge

Care amiche e cari amici,
con una grande stretta al cuore questa settimana parlerò di challenge. L’orrore che sta colpendo la nuova generazione, soprattutto in età molto giovane. Si tratta di sfide estreme, ovvero sfide della morte. Circolano sui social network quali Tik Tok, Facebook, Instagram e in fase sempre crescente. Si tratta di riti per dimostrare qualcosa a se stessi e agli altri. Per distinguersi dai “fifoni” e mostrarsi “duri”. Per farsi vedere forti fino “all’onnipotenza”. Non importa il none: Black out, Chocking game, Pass-out game, tutti definiscono la stessa incredibile follia che prevede azioni assurde e tutte che portano alla morte se non fermate in tempo. Si potrebbe fare un elenco sconcertante delle sfide proposte, quanto sconcertante è vedere il copioso numero dei partecipanti. Passa come un momento “emozionante” l’appendersi a testa in giù come un pipistrello, gettarsi la vodka negli occhi o camminare e guidare ad occhi chiusi. Tra le nuove sfide lanciate sui social, c’è quella dell’Hanging challenge, che consiste in una prova di resistenza. Il “gioco” prevede di legarsi una cintura attorno al collo e resistere per più tempo possibile. L’asfissia crea la perdita dei sensi, che rende impossibile svincolarsi. Ciò porta all’eccessiva compressione della carotide fino al soffocamento. Una sfida all’ultimo respiro, sul vero senso della parola. Un nano secondo separa la vita dalla morte, qualunque gioco delle sfide si stia affrontando. Sempre più ragazzi e sempre più giovani, si lasciano coinvolgere. Spesso consapevoli che le azioni scelte possono essere mortali, ma temono che sottraendosi possano mostrarsi inferiori agli altri. Già in passato fummo travolti dalla drammaticità delle sfide. Le prime diffuse sul web videro protagonista la Russia con Blue whale” (la Balena azzurra) nel 2016. Una prova estrema fatta di 50 assurde regole, tra cui tagliarsi le vene, salire sul tetto di un palazzo dopo essersi arrampicati sul cornicione e quant’altro. Tutto rigorosamente filmato per poi inviare le immagini dell’impresa a un “curatore” per metterle in rete. Vere e proprie prove della morte per dimostrare il proprio “coraggio” a uno sconosciuto o agli altri iscritti. Ritenuto un gioco, ma tutto è tranne che un gioco. Cosi, piccole anime stroncano il loro futuro nel fiore degli anni. Si va poi alla ricerca del colpevole: famiglia, scuola, amici, social. Colpa di nessuno o probabilmente di tutti. A che serve cercare un colpevole dopo che una tragedia si consuma. La colpa va cercata nel momento che precede la perdita di un’anima. La colpa sta nel non osservare, non ascoltare, non avere nessuno vicino che filtri. La colpa sta nel lasciare troppo tempo i giovani in balia di sé stessi. Altra vera colpa sta nell’essere sempre più portati a dire: “Mi fido, non serve controllare”, soprattutto quando tra genitori e figli c’è un buon dialogo. Niente di più sciocco. Non tutti gli adolescenti completano lo sviluppo neuro cognitivo tra i dodici e i tredici anni. Come gli studi di neurofisiologia stabiliscono, alcuni lo completano addirittura più tardi. Per questo motivo i genitori non devono mai abbassare la guardia. È una fase della crescita molto delicata. Una svista può essere fatale. Mille pericoli incombono, la cui gravità viene sottovalutata dai giovani perché inesperti e ignari dei risvolti. Ecco che allora la presenza dell’adulto è necessaria e fondamentale. I ragazzi non si salvano togliendogli dalle mani un cellulare o un PC. Si possono salvare passando del tempo con loro. Chiedendogli come stanno e soprattutto aspettando anche la risposta. Interessandosi di ciò che fanno e come lo fanno. Tutto questo non una volta, ma ogni santo giorno. È un diritto dovere dei genitori conoscere ogni cosa del proprio figlio. Seguirlo e guidarlo. Figli di una società dove violenza e aggressività fanno parte di una “dieta mediatica quotidiana”. Un compito che impone sacrifici e rinunce, è vero, ma che è imprescindibile dall’essere genitore coscienzioso. Altra cosa che si può fare per salvare la vita dei propri figli e di altri giovani è rivolgersi alla Polizia Postale. Non per ultimo:
• Parlare ai ragazzi dei pericoli e dei rischi delle sfide in modo che non ne subiscano il fascino;
• Monitorare la navigazione e l’uso delle app social, anche stabilendo un tempo massimo da trascorrere connessi;
• Indagare su ciò che tiene i ragazzi incollati ai social;
• Segnalare subito qualsia anomalia e/o invito ai figli riguardanti sfide pericolose, a www.commissariatodips.it;
• Tenersi sempre aggiornati sui nuovi rischi in rete con gli ALERT che vengono pubblicati sul portale www.commissariatodips.it e sulle pagine Facebook Una Vita da Social e Commissariato di PS Online.
Ricordiamolo: essere prudenti è il primo passo verso la salvezza.

Enza Nardi Autrice

Per interagire e/o inviare domande:

Facebook: https://www.facebook.com/enza.nardiautrice.3

Related posts

Non solo il 25 novembre

redazione

Paura

redazione

Covid-19

redazione

Lascia un Commento

This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish. OK Continua a leggere

Privacy & Cookies Policy