Cultura e eventi

Giornata della Memoria sudista. Il Sottosegretario d’Abruzzo Mazzocca: “Necessario rapporto più consapevole con il nostro passato”

L’Aquila. All’indomani dell’approvazione – lo scorso 4 luglio – da parte del Consiglio regionale della Puglia di una risoluzione per l’istituzione di una «Giornata della Memoria per ricordare le vittime meridionali dell’Unità d’Italia» presenta dal Movimento 5 Stelle, lo storico Giovanni De Luna scriveva che occorre più “storia e meno memoria per distanziarsi dalla tempesta sentimentale che imperversa nelle nostre istituzioni” e dunque per “recuperare un rapporto con il passato più critico, più consapevole”. La stessa risoluzione, con la quale si intende elevare a dignità di commemorazione pubblica la ricorrenza della resa dell’esercito Borbonico a Gaeta (13 febbraio 1861), quale fine dell’indipendenza meridionale, è stata presentata dai gruppi consiliari pentastellati in tutte le Assemblee delle Regioni meridionali. Da qualche in tempo, l’uso pubblico della storia si è fatto così aggressivo da volersi, come in questo caso, addirittura formalizzare in atti istituzionali, trascurando con spavalda ignoranza un pur necessario rapporto tra assemblee elettive e saperi. Non è accettabile dimenticare il pensiero dei tanti meridionalisti che nel primo sessantennio post-unitario hanno riflettuto, da prospettive ideali e politiche diverse, sul dualismo economico e sociale che caratterizzava il processo unitario. D’altra parte, gli studiosi italiani e stranieri che hanno indagato da angolazioni prospettiche diverse il processo di Unificazione hanno sempre preso le distanze da un altro uso pubblico della storia, speculare nella sua problematicità a quello delle risoluzioni di sapore neoborbonico presentate, ossia dal paradigma ‘risorgimentale’ e ‘sabaudista’ che leggeva quel processo come una sorta di epopea western: giubbe azzurre contro indiani, buoni contro cattivi. Esso è stato invece indagato senza sconti: dai limiti dell’opzione di una unificazione politica e amministrativa su basi rigidamente centralistiche imposta dalla classe dirigente cavouriana, ai limiti delle élites politiche ed economiche meridionali i cui errori si sono ripercossi innanzitutto sui ceti più deboli della società; agli aspetti sociali del brigantaggio, senza con questo trasformare Carmine Donatello Crocco, disertore dell’esercito borbonico e poi bandito, in un epigono di Simon Bolivar. Ma anche la letteratura e la filmografia molto hanno detto su questo passato problematico: da De Roberto a Pirandello, da Alvaro a Tomasi di Lampedusa a Camilleri, da Carlo Levi a Silone a Jovine, da Visconti ai fratelli Taviani a Martone (l’elenco è solo esemplificativo e non pretende certo di essere esaustivo). In questo caso, lo sforzo di lettura e visione, magari su tablet, è più abbordabile e sarebbe bene che chi pone certe questioni lo tentasse. Ecco allora che si può cogliere questa occasione per cercare di riannodare un tipo di rapporto più consapevole con il nostro passato, e dunque come una premessa allo studio e a un dibattito che non può ammettere una conclusione quale viene proposta nelle risoluzioni presentate in serie. Per questo chiedo al Consiglio regionale di rivolgere un invito al Presidente della Giunta e al Presidente del Consiglio a incontrare i rappresentanti della società italiana per lo studio della storia contemporanea (SISSCo) affinché possano illustrare il documento dalla stessa elaborato su questo delicato tema, che non ha soltanto un aspetto storiografico, e di promuovere con le Facoltà di Scienze Politiche e di Economia del sistema universitario abruzzese una giornata di studio sul tema: L’Abruzzo tra ‘questione meridionale’ e processi di modernizzazione”.

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