Cronaca

Decreto dignità, il timore delle associazioni datoriali

Pescara. “Un segnale molto negativo per il mondo delle imprese”. È la valutazione che Confindustria ha riassunto in una nota per commentare il decreto Dignità varato lunedì sera dal governo Conte. Il primo atto collegiale dell’esecutivo, indicativo anche in quanto tale, produrrà “il risultato di avere meno lavoro, non meno precarietà”, mentre “preoccupa anche che siano le imprese a pagare il prezzo di un’interminabile corsa elettorale all’interno della maggioranza e che si creino i presupposti per dividere gli attori del mercato del lavoro, col rischio di riproporre vecchie contrapposizioni”.

“Come abbiamo sempre sostenuto – afferma ancora il comunicato – sono infatti le imprese che creano il lavoro. Le regole possono favorire o scoraggiare i processi di sviluppo e hanno la funzione di accompagnare i cambiamenti in atto, anche nel mercato del lavoro. Si dovrebbe perciò intervenire sulle regole quando è necessario per tener conto di questi cambiamenti e, soprattutto, degli effetti prodotti da quelle precedenti: mentre i dati Istat raccontano un mercato del lavoro in crescita, il Governo innesta la retromarcia rispetto ad alcune innovazioni che hanno contribuito a quella crescita”.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche le altre associazioni datoriali. “Siamo insoddisfatti. L’aumento degli oneri sui contratti a termine – fa sapere la Confesercenti – costerà oltre 100 milioni di euro”. “Se l’obiettivo era quello di favorire la creazione di nuova occupazione – si legge in una nota della Confcommercio – si va invece nella direzione opposta con l’aggravante di creare un periodo di incertezza e un ritorno del contenzioso”. “Le clausole sul contratto a termine – prevede Mario Resca, presidente di Confimprese, portano a un restringimento, contrario ai principi del nuovo Governo”. “L’irrigidimento introdotto nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato – scrivono alla Cna – penalizza quanti stanno creando occupazione, e quindi delude artigiani e pmi”. “Le misure sui contratti a termine contenute nel decreto dignità – ha detto il presidente di Confartigianato, Giorgio Merletti – confermano i nostri timori: si introducono rigidità e costi per le imprese senza peraltro creare benefici per i lavoratori. Non è così che si favorisce l’occupazione”.

Il Direttore Generale di CONFINDUSTRIA CHIETI PESCARA dr. Luigi Di Giosaffatte ha dichiarato: “Ancora una volta assistiamo ad uno spettacolo poco edificante per la politica italiana, che è quello di smontare leggi senza alcuna verifica preventiva dei risultati economici e sociali realizzati nel Paese”.

Nota tecnica
Delocalizzazioni
È confermata la scelta di dedicare quattro diverse norme al tema: una di portata generale sulla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti; un’altra dedicata alla tutela occupazionale e le altre due ai temi specifici dell’iper-ammortamento e del credito d’imposta ricerca.
Su queste ultime due non ci sono sostanziali novità. Gli aspetti salienti sono: (i) un meccanismo di recupero dell’iper-ammortamento in caso di cessione o di destinazione del bene agevolato a strutture produttive estere appartenenti alla medesima impresa (senza alcuna distinzione dei paesi di destinazione tra Stati extra UE e UE). L’unica novità è che la misura non ha carattere retroattivo; (ii) per la concessione del credito d’imposta ricerca, si escludono i costi sostenuti per l’acquisto infragruppo – anche in licenza – dei beni immateriali. In questo caso, la nuova misura si applica già a decorrere dal periodo d’imposta in corso.

Di seguito alcune notazioni sulle prime due misure.
Limiti alla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti
L’ambito di applicazione è ampio, in quanto comprende tutti gli aiuti di Stato erogati alle imprese per gli investimenti, indipendentemente dalla relativa forma (es. contributi, finanziamenti agevolati, sistema delle garanzie pubbliche).
Inoltre, alcuni dei presupposti delle misure risultano poco chiari e suscettibili di interpretazioni disomogenee (es. concetto di attività analoga oggetto di delocalizzazione), anche perché la loro declinazione è rimessa alle singole amministrazioni erogatrici.
Rispetto alle prime formulazioni, però, l’ultima bozza disponibile del decreto contiene alcuni correttivi che ne riducono, in parte, i potenziali impatti negativi sul tessuto produttivo. In particolare:
· il vincolo temporale di mantenimento delle attività oggetto di benefici è ridotto a 5 anni rispetto ai 10 previsti nelle prime bozze;
· sono state individuate due fattispecie diverse di delocalizzazione: (i) la prima riguarda quelle al di fuori dell’UE, rispetto alle quali – in caso di decadenza dai benefici – si applica anche una sanzione amministrativa pecuniaria (sproporzionata) da due a quattro volte l’importo del beneficio; (ii) la seconda è relativa agli aiuti di Stato attribuiti per l’effettuazione di investimenti produttivi “specificamente localizzati” (es. credito d’imposta Sud), per i quali è prevista la revoca in caso di delocalizzazione fuori dallo specifico ambito territoriale. La delocalizzazione rileva in questo caso in caso di trasferimento dell’attività sia all’interno del territorio nazionale, sia in ambito europeo;
· l’applicazione delle nuove misure non dovrebbe avere carattere retroattivo e, ai benefici già concessi prima dell’entrata in vigore del decreto, verrebbe applicata la disciplina previgente (legge di stabilità 2014, che prevede obblighi di restituzione dei contributi in conto capitale in caso di delocalizzazione extra UE, entro tre anni, dal sito produttivo incentivato con contestuale riduzione del personale di almeno il 50%).
Con riferimento alla prima fattispecie (delocalizzazioni extra-UE), la bozza prevede che la delocalizzazione debba riguardare “l’attività economica interessata dal beneficio ovvero un’attività analoga o una loro parte”. Questa formulazione è generica e di difficile attuazione, considerando che generalmente i benefici sono piuttosto riconducibili al singolo bene o alla singola attività sovvenzionata e non all’intera attività produttiva dell’impresa.
Tutela dell’occupazione nelle imprese beneficiarie di aiuti
Anche in questo caso l’ultima bozza disponibile del decreto contiene degli elementi nuovi che limitano la portata della revoca – totale o parziale – dei benefici.
In particolare, ferma la necessità di chiarire la portata applicativa della “misure di aiuto di Stato operanti nel territorio nazionale che prevedono la valutazione dell’impatto occupazionale”, sono stati previsti dei correttivi in base ai quali: (i) la riduzione dei livelli occupazionali diviene rilevante – ai fini della decadenza dal beneficio – se superiore al 10%; (ii) il beneficio è revocato in misura proporzionale alla riduzione del livello occupazionale; (iii) se la riduzione è superiore al 50%, la revoca del beneficio è totale.
Inoltre, la misura sembrerebbe escludere dalla riduzione dei livelli occupazionali i “casi riconducibili a giustificato motivo oggettivo”. La migliore interpretazione dell’inciso, che comunque presenta profili di ambiguità, è che non contribuiscano a determinare la revoca dei benefici i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo. Conseguentemente, secondo questa interpretazione, contribuirebbero alla determinazione delle soglie previste dalla disposizione i soli licenziamenti collettivi.
Positiva poi la riduzione dell’arco temporale di riferimento da 10 a 5 anni, anche se non è chiaro il momento a partire dal quale decorre il termine. Viene, infatti, fatto riferimento “alla data di completamento dell’investimento”, ma il tipo di beneficio non sempre sembra avere ad oggetto un vero e proprio investimento da parte dell’impresa.
Positiva anche l’introduzione della disposizione che fa salvi i benefici già concessi prima dell’entrata in vigore del decreto.
Resta, infine, anche in questo caso il problema dell’eccessiva discrezionalità affidata alle amministrazioni erogatrici dei benefici tanto sotto il profilo della corretta applicazione della norma quanto con riferimento alle modalità, tempi e procedure dell’eventuale revoca.

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