Chieti. Sono cominciate anche in Abruzzo, seppure con molta lentezza, le prime azioni di buon senso inviando ai domiciliari persone con pene residue al di sotto dei 18 mesi e detenuti anziani o con gravi patologie. Una corsa ai ripari in grande affanno per una grave carenza di funzionari giuridici pedagogici (appena 30 su una popolazione di circa 2 mila detenuti), cancellieri del tribunale, magistrati di sorveglianza ora tutti impegnati nell’avvio di pratiche per la chiusura delle sintesi comportamentali e di verifiche dei requisiti. All’improvviso, di fronte all’emergenza, si fanno i conti con un sistema penale più attento alla punizione che alla rieducazione.
Molte e gravi le criticità: nel carcere di Chieti scarseggiano prodotti per l’igiene (rinnoviamo l’invito a enti, associazioni, aziende di portare direttamente in carcere, in via Ianni, saponi, detersivi e disinfettanti, specificando in portineria “offerta con Voci di dentro per i detenuti di Chieti”); nel carcere di Pescara personale medico allo stremo e insufficiente (1 medico e 1 infermiere per turno, 1 specialista a settimana) e detenuti con la febbre “curati” con tachipirina ma non isolati dagli altri; sempre a Pescara chiusi i semiliberi e gli articoli 21; agenti di polizia insufficienti: 1 ogni tre sezioni. Un ispettore ci dichiara: “cerchiamo di parlare con i detenuti, facciamo del nostro meglio, ma la preoccupazione del contagio è altissima”. Una parente di un detenuto: “Le telefonate quotidiane di 10 minuti sono assicurate, almeno quelle, ma Skype non funziona”.
Dal carcere di Chieti scrivono: “ Non è vero che la nostra protesta nasce dalla sospensione dei colloqui con i nostri famigliari: siamo in grado di capire e sufficientemente consapevoli che il blocco dei colloqui è stato deciso per ridurre le possibilità di contagio anche con i nostri cari. Protestiamo con la battitura serale per il diritto alla salute, diritto che ognuno di voi ha ed a noi non viene tutelato. Siamo spaventati a dover immaginare cosa succederebbe nel nostro carcere in caso di contagio da Coronavirus, qui dove conviviamo in 6 o 7 in celle di circa 20 metri quadri. Voi che siete fuori potete disporre di 1 metro attorno evitando gli assembramenti e riunioni; e noi? Possiamo vivere accalcati, ammassati come gregge in un ovile? Possiamo correre il rischio di ammalarci perché siamo detenuti? E questo quello che una società civile ha inserito nel decalogo di vita?
Desideriamo e richiediamo con fermezza che questo tragico momento possa spingere verso una soluzione vera e definitiva di questo sistema carcerario che nei suoi comportamenti punitivi è il più retrogrado tra i paesi civilizzati, prova ne sono le sanzioni ricevute dalla Corte Europea. Per questa ragione è stato indetto lo sciopero della fame, che è in vigore da lunedì 9 marzo. Abbiamo sospeso già da domenica sera l’acquisto dei generi di sopravvitto e per dimostrare coerenza con le nostre dichiarazioni abbiamo inviato alla Caritas di Chieti quanto ognuno dei detenuti aveva come scorte alimentari”.