Cronaca

“L’Italia non è un paese per bici. Ma lo può diventare”, dossier sulla situazione delle piste ciclabili nelle città capoluogo italiane

Al lancio del dossier è legata anche una petizione per chiedere maggiori investimenti per la realizzazione di piste ciclabili

Teramo. L’Italia investe nell’auto quasi 100 volte più che nella bici: 98 miliardi di euro per il settore automotive e le infrastrutture stradali contro poco più di un miliardo per bonus bici e ciclabili urbane ed extraurbane. Questo senza contare riduzione delle accise e altri sussidi ambientalmente dannosi. Il risultato è che l’Italia, sul piano della ciclabilità, è il fanalino di coda del contesto europeo: le città italiane hanno una media, secondo i dati Istat, di 2,8 km di ciclabili per diecimila abitanti, con grandi disparità territoriali, da zero km in molti capoluoghi del Centro-Sud ai 12-15 km di Modena, Ferrara, Reggio Emilia, considerando i chilometri medi, superiori, di Helsinki (20 km/10.000 abitanti), Amsterdam (14 km/10.000 abitanti) o Copenaghen (8 km/10.000 abitanti).
L’Italia, con l’Unione Europea, si è impegnata a ridurre le proprie emissioni climalteranti del 55% entro il 2030. Per farlo è essenziale decarbonizzare rapidamente il settore dei trasporti, che è oggi causa di quasi un terzo delle nostre emissioni di CO2, ma senza rendere le nostre città davvero ciclabili riuscirci sarà molto più difficile.
È questo il punto di partenza da cui Clean Cities, FIAB, Kyoto Club e Legambiente, sono partite per la realizzazione del dossier “L’Italia non è un paese per bici”, un ricco documento che mostra come, per colmare il gap con il resto d’Europa, alle città italiane servono 16.000 km di ciclabili in più (rispetto al 2020), per un totale di 21.000 km al 2030. Da una stima prudenziale del fabbisogno economico, l’investimento dovrebbe essere di almeno 3,2 miliardi di euro nell’arco dei prossimi sette anni, pari a 500 milioni di euro all’anno, ovvero appena il 3,5% di quanto già stanziato per il comparto auto e le infrastrutture connesse, ma molto di più di quanto predisposto  fino ad ora per la ciclabilità.
La proposta delle organizzazioni rivolta al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) e al nuovo Parlamento è quindi di integrare il Piano Generale della Mobilità Ciclistica, approvando un piano straordinario di investimenti per la ciclabilità nella prossima legge di bilancio, con uno stanziamento di 500 milioni di euro l’anno fino al 2030.
Claudio Magliulo, responsabile italiano della campagna Clean Cities, ha commentato:
“La nostra analisi ci dice tre cose: uno, che spendiamo tante, troppe delle nostre tasse per sovvenzionare l’uso dell’automobile privata, e pochi spiccioli per dare a tutti la possibilità di muoversi in bicicletta; due, che le nostre città sono ancora molto poco ciclabili, e che vasta parte degli attuali progetti di sviluppo della ciclabilità non sono sufficienti a consentire un vero salto di qualità; tre, che per rendere le nostre città ciclabili davvero basterebbe investire poco più di tre miliardi di euro, tanto quanto stiamo spendendo ogni tre mesi per abbassare un pochino il prezzo di diesel e benzina.
Milioni di italiani vorrebbero avere l’opportunità di muoversi in sicurezza usando la bici per raggiungere i propri luoghi di lavoro, di studio o di svago. Ma non possono perché le strade sono il dominio incontrastato delle automobili e mancano infrastrutture adeguate.
Facilitare l’utilizzo diffuso e capillare della bicicletta non è solo una priorità dal punto di vista ambientale e climatico, ma anche parte della soluzione all’epidemia di morti per mal’aria e una questione di giustizia e inclusione sociale.”
Le organizzazioni propongono inoltre:
• la creazione di una struttura tecnica incardinata nel MIT, con budget dedicato, che coordini il Piano nazionale per la ciclabilità;
• finanziamenti per sharing mobility nelle città poco appetibili per i grandi operatori di bike-sharing;
• l’istituzione di un fondo per la promozione della ciclabilità con sgravi, incentivi ad hoc e accordi di mobility management con le aziende;
• l’obbligo per i nuovi progetti infrastrutturali di prevedere connessioni intermodali;
• la promozione dell’accesso delle bici ai treni regionali con adeguata fornitura di posti e scontistica sugli abbonamenti;
• una grande campagna di sensibilizzazione sulla bicicletta come mezzo di trasporto per gli spostamenti quotidiani per lavoro e studio;
• e un programma di formazione e sensibilizzazione degli enti locali sui recenti sviluppi legislativi in tema di ciclabilità.

​ Le città italiane sono poco ciclabili, ma alcune vogliono fare di più
Per la realizzazione del dossier, le organizzazioni hanno analizzato, partendo dai dati Istat, i chilometri di corsie o piste ciclabili per diecimila abitanti al 2020 e i chilometri aggiuntivi previsti da PUMS e biciplan. Nel confronto con le grandi città europee alcune città italiane spiccano in positivo, ma oltre la metà dei comuni capoluogo hanno poche o pochissime ciclabili e sono in classe F o G nel rating proposto (dove A+ è il livello più alto, G il più basso). Le ciclabili sono cresciute del 20% tra il 2015 e il 2020, ma oltre un terzo dei comuni non ha costruito un solo chilometro in più, o ne ha addirittura rimossi alcuni. Le disparità territoriali sono grandissime: nella top 10 ci sono solo città del Nord, mentre in coda alla classifica si trovano quasi solo città del Centro-Sud.
La buona notizia è che molti comuni hanno piani ambiziosi che in alcuni casi li vedrebbe scalare fino a cinque classi nell’analisi proposta. Ma di piani si tratta, per la gran parte, ed è essenziale che quei numeri su carta diventino tracciati percorsi quotidianamente da chi si sposta in bici per lavoro, studio o piacere.
​ Le dichiarazioni di Clean Cities, FIAB, Kyoto Club, Legambiente
L’Arch. Raffaele Di Marcello, Consigliere di Presidenza di FIAB, Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta, e Responsabile Centro Studi Nazionale FIAB dichiara: “La situazione infrastrutturale delle nostre città, per quanto riguarda i percorsi ciclabili, è ancora da migliorare. Poche piste ciclabili, spesso non collegate tra loro, e mancanza di una visione che metta insieme pianificazione urbanistica e mobilità sostenibile, rendono difficile, e spesso impossibile, utilizzare la bicicletta come mezzo alternativo all’automobile. Il recente Piano Generale della Mobilità Ciclistica ha ribadito la possibilità di usare altre tipologie di percorsi, oltre alle piste ciclabili, e le indicazioni contenute nel report, se attuate, possono aiutare a colmare le carenze che il nostro Paese ha accumulato negli anni, con l’obiettivo di passare, a breve, dalle piste ciclabili a città a misura di ciclisti”.
Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club, ha sottolineato che “I dati del dossier ciclabilità mostrano con chiarezza che le nostre città devono colmare un ritardo notevole rispetto alle più avanzate realtà europee. Nelle nostre aree urbane sono ancora i veicoli a combustione fossile a farla da padrone. È necessaria una vera e propria “rivoluzione culturale” che ponga invece al centro la mobilità attiva, pedonale e ciclabile, ripensando l’utilizzo degli spazi delle nostre città. Insieme alle altre associazioni chiediamo con forza al nuovo Parlamento un Piano straordinario di investimenti per la ciclabilità urbana, per conseguire in pochi anni gli obiettivi indicati puntualmente nel dossier”.
Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente dichiara: “Bisogna cambiare il paradigma della mobilità nelle città, pianificando lo spazio stradale con nuove gerarchie: più spazio a pedoni, ciclisti e intermodalità e meno a spostamenti privati in auto. La bicicletta negli spostamenti brevi e medi è uno straordinario alleato: ricuce i quartieri, connette centro e periferie e rende accessibili spazi condivisi come le stazioni, le scuole, gli uffici pubblici, abbattendo emissioni, congestionamento e incidentalità stradale. Ma servono risorse certe e incentivi stabili che permettano di realizzare connessioni efficienti come insegna la bicipolitana che si sta diffondendo in tutta Italia”.

Ma qual è la situazione delle infrastrutture ciclabili dei capoluoghi abruzzesi, evidenziata nel dossier?
In una scala di valutazione per classi, da A+ a G, che ricalca quella per l’efficienza energetica, dove A+ indica le città che hanno già livelli di ciclabili che dovrebbero favorire un utilizzo quotidiano e largamente diffuso della bicicletta e G le città che devono ancora attivarsi per raggiungere un livello accettabile di infrastrutture per la ciclabilità, troviamo al primo posto Pescara in classe E, con uno scenario prefigurato dal suo Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile (PUMS) che la porterebbe in classe C.
Segue Teramo, in classe F, con un PUMS non ancora approvato e, quindi, senza possibilità di apprezzarne il miglioramento.
Situazione peggiore per L’Aquila, in classe G, ma con una previsione di PUMS che la porterebbe, quando attuata, in classe A+, e quindi al vertice della classifica.

Ultima classificata Chieti, in classe G e nessun PUMS approvato che possa far apprezzare un qualche miglioramento in futuro.

“Va evidenziato – dichiara Raffaele Di Marcello del Centro Studi nazionale FIAB – che il rapporto è relativo unicamente alla dotazione di piste ciclabili, rilevate su base ISTAT, e non tiene conto di altri elementi quali la moderazione del traffico, le corsie ciclabili, le zone a traffico limitato e le aree pedonali, le azioni per la promozione della mobilità ciclistica, tutti elementi che FIAB considera all’interno della sua rete dei ComuniCiclabili. Ma le piste ciclabili sono comunque un elemento importante per la crescità di una ciclabilità diffusa in ambito urbano ed il report vuole essere da sprono, sia per le amministrazioni che per i governi regionali e centrale, affinché vengano destinate adeguate risorse alla realizzazione di reti di percorsi, integrate con altre azioni di sostegno alla mobilità sostenibile”.

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