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Ma il cinese è difficile? Ce lo dice Mishan

Tra un dipinto e l’altro continua la mia avventura con il cinese. Ormai sono intrappolata in un vortice in cui più vado avanti più ho voglia di conoscere questa lingua. Più la conosco più qualcosa dentro di me cambia.

Imparare una lingua significa imparare a decifrare il mondo con un modo di pensare diverso; significa ristrutturare tutto, dal semplice ordine di una frase, al modo di intendere le cose più astratte, come l’amicizia, l’amore, ecc.
Ma lo sapevate che il cinese non ha morfologia? Ad esempio, non c’è coniugazione dei verbi. Tempi e modi verbali come li conosciamo noi quindi non esistono; nemmeno i nomi sono declinati al maschile, femminile, plurale o singolare.

Allora il cinese è una lingua semplice?
Ni, diciamo che è sempre difficile decretare cosa sia semplice e cosa no, dato che comunque è qualcosa di estremamente soggettivo e dipende quindi dall’attitudine di chi sta imparando, dalla lingua madre dell’apprendente e da tanto, tanto altro.

E se vi dicessi che è proprio questo suo aspetto, per me personalmente, che rende la lingua cinese difficile? La sua semplicità nella forma?
Già, perché per me che sono abituata a usare il congiuntivo, condizionale, futuro, passato remoto; a distinguere tra cosa è maschile e cosa è femminile, a costruire frasi lunghe, subordinate, coordinate, a dividere tutto in categorie nette e ben distinte;
per me che sono abituata a questa complessità meravigliosa della mia lingua madre, riuscire ad esprimere gli stessi, complessi pensieri attraverso una lingua più semplice nella forma è di una difficoltà incredibile. Riuscire ad ordinare il mondo senza categorie nette da dividere con netti confini, a non preoccuparmi troppo di specificare se qualcosa sia accaduto in un passato remoto o più recente modificando un verbo, perché il tempo alla fine non è così delineato come vogliamo credere.
Riuscire a fare tutto questo significa riuscire a cambiare il proprio modo di pensare, significa abbattere ogni convinzione sul mondo che prima si aveva ed imparare a farla dialogare con prospettive nuove.
Nonostante questa mancanza di morfologia, il cinese riesce ad esprimere meravigliosamente i concetti più complessi. D’altronde, la poesia cinese antica aveva bisogno solo di pochi caratteri per poter parlare dell’infinità del cosmo e rispondere a quelle domande così complesse che noi esseri umani ci poniamo costantemente.

Studiare il cinese mi ha fatto rivalutare il modo in cui guardo il mondo, mi ha fatto capire che forse tutta questa complessità nel voler definire la vita in modo molto specifico non è poi così necessaria per poter essere felice.
Insomma, per me che sono una persona curiosa e disposta a rinunciare a tutte le proprie certezze, no, il cinese non è una lingua semplice né è una lingua complessa, è semplicemente bellissima.

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