Cultura e eventi

All’Università D’Annunzio musica popolare

Il 18 luglio del 1881 Gabriele D’Annunzio, in una lettera inviata a Giselda Zucconi, scriveva: “Io studio le canzoni popolari abruzzesi. Che sublimità di ispirazione, Elda! Che melodie profonde e affascinanti! Non sembrano prodotti di un uomo, ma le voci della stessa natura! Nessuna parte d’Italia ha canzoni così belle e così splendidamente musicali; te ne manderò qualcuna. Ma bisognerebbe sentirle cantare dalle nostre contadine nei tramonti di porpora, né gialli silenzi di mezzogiorno, nei pleniluni fatali… Che fascino, Elda! Vengon le lacrime agli occhi e il cuore palpita in un desiderio ignoto. È la natura che canta”.

Queste parole di D’Annunzio sintetizzano alla perfezione le sensazioni, le passioni e la carica emotiva insita nelle melodie del nostro territorio. Il Vate, nel periodo tra la fine degli studi al Cicognini di Prato e il trasferimento a Roma, era entrato in contatto col mondo del Cenacolo michettiano, dove c’era un grande confronto tra intellettuali che avrebbero lasciato dei segni nella cultura europea.

E la musica, con Francesco Paolo Tosti in prima fila, era certamente un settore di approfondimento. Quel periodo D’Annunzio lo utilizzò anche per compenetrarsi nella cultura del territorio abruzzese. E percepì la pluralità delle diverse melodie diverse che caratterizzano paesi, borghi, vallate quasi a voler imprimere il proprio marchio identitario.

Ma può una piccola regione come l’Abruzzo avere tante identità musicali? Certo, è il frutto della pluralità antropologica. L’isolamento millenario di tante aree della regione ha permesso la conservazione delle singole individualità, mentre altre aree hanno subito forti contaminazioni.

Dopo le parole del Vate, ci sono quelle di Carlo Altobelli che, in un articolo pubblicato su “La Tribuna” del 2 aprile 1888, descrive un grande evento organizzato nel Convento da Francesco Paolo Michetti a Francavilla il lunedì di Pasqua, e dove si legge:

“E quando tutte queste cose e queste persone avete immaginato riunite insieme lì, a Francavilla, vi sembrerà naturale che Francesco Paolo Tosti, in uno dei momenti geniali della sua brillante carriera, abbia pensato d’iniziare la tradizione di una Canzone Popolare abruzzese. Il momento non poteva essere scelto con opportunità maggiore. Nel lunedì dopo Pasqua, sulla spianata del Convento si fa una festa a S.Antonio – il canto, come sempre, è un pretesto per divertirsi ”. (…)

“E la gente accorre, fa una capatina alla chiesa, entra nelle tende ove alza il gomito spensieratamente allegra, si riversa sul piano, si affolla intorno ad un giovanotto che suona l’organetto, intreccia le danze, e comincia la saltarella, vispa, agile”. (…)

Ma ecco che da ogni parte si grida silenzio – tutta quella massa di gente si riconcentra in un punto del piano – dall’ospitale casa di Francesco Paolo Michetti scendono a due a due, fra una doppia ala di cavalieri, le giovanette del popolo che dovranno cantare la canzone di Francesco Paolo Tosti – seguono i giovinotti – e poi viene una schiera di signore eleganti, buone, cortesi, e poi di signorine graziose, carine, attraentissime.

Si fa circolo – Pio Michetti dà il segnale – volano per l’aria libera giulive le prime note della canzone – squillano le voci argentine delle giovanette – il coro cresce, si rafforza, s’intona col canto di quei robusti giovanotti – il sentimento popolare zampillante da quella musica semplice e piana e pure così soave, così parlante al cuore, così caratteristicamente abruzzese, entusiasta prorompe dagli animi commossi, ed è una sola acclamazione, viva, insistente, affettuosa a Francesco Paolo Michetti, l’artista gentile, fine, geniale, che aristocraticamente interpreta e traduce i palpiti del nostro popolo.

E la canzone ricomincia:

la violetta nasce nna la fratte

Quando lu verne se ne scta pei ji

Nisciuna cos’arriva a la utrasatte

Come l’amore che te fa murì.

E l’entusiasmo cresce, e la tradizione della Canzone popolare abruzzese si è iniziata, ed a salutarla rumoreggiano sul declivo della collina i petardi che slanciano al cielo granate scoppiettanti in sfolgoranti colori, suona la musica inni di vittoria, mentre che il popolo si disperde per la campagna silente, nella quale lontano lontano si affievoliva l’eco dolcissima delle malinconiche note della canzone abruzzese.

La festa però non è finita. Francesco Michetti ci invita a rientrare nel convento, nel salotto…” (…)

“Nel darsi l’arrivederci, quella simpatica riunione, quasi come promessa di ritrovarsi tutti a posto l’anno ventura, volle cantare la Canzone abruzzese, e che, come sul piano del convento, così nel salotto entusiasmò e commosse”. (…)

Il ghiaccio è rotto.

Ma scordavo dirvi chi è stato il poeta gentile che lega il suo nome alla Canzone abruzzese: Tommaso Bruno”

Potevo non citare questo articolo di Carlo Altobelli, così coinvolgente, così armonioso, così vero sulla nostra Canzone popolare? Certamente no.

Sarebbe stato un torto nel dimenticare un pezzo di storia che dimostra come quel cenacolo michettiano mise bocca anche nella nostra musica popolare.

E poi, le riflessioni sulla nostra musica si sono ovviamente arricchite. E così anche Primo Levi ne parla nel libro, il cui titolo è divenuto un tratto identitario della nostra Regione, quell’Abruzzo forte e gentile, che ormai ci appartiene. Scrive Levi:

“Si sentono echeggiare serenamente meste per l’aere, qualunque sia la parte d’Abruzzo percorsa, poiché il fondo dell’indole è la stessa in tutta la regione; con diversa espressione, a seconda che s’è atteggiata la natura del suolo: lunga e uniforme sul monte, piano al piano, rotta e mossa sul mare; di una serenità diversa da quella delle canzoni napoletane; di una mestizia diversa da quella delle canzoni siciliane”.

Ecco due temi. Ogni paese, ogni borgo, ogni vallata ha la propria identità e la propria espressione musicale. E poi “la mestizia diversa da quella delle canzoni siciliane”. Ma questa considerazione immediatamente ci conduce da Cesare d’Angelantonio che, nel 1927 nella prefazione alla pubblicazione di Guido Albanese dal titolo “Canti popolari d’Abruzzo”, composti nel 1920, scrive:

“Questi Canti popolari d’Abruzzo…hanno la fresca vena della originalità e il pregio di una secolare tradizione; così profondamente sono radicati nei caratteri elementari della stirpe che, quando il popolo li ascolta, traendo in folla dietro i carri canori, crede piuttosto di riconoscerli che non di udirli per la prima volta. Si direbbe che Guido Albanese non li abbia tratti dalla feconda e purissima vena del suo talento artistico, ma li abbia rievocati dalle lontananze di una lunga desuetudine.

Il popolo abruzzese è tra i più fecondi di suoni. Dalla montagna al mare palpitano, a ogni ora, i ritmi semplici e melodiosi degli stornelli popolareschi: e alcuni sono antichissimi, d’ignoto autore, quale quello della ‘salutazione all’amore’:

‘…tutte le funtanèlle se so’ seccate: pover’ amore mé, more di sete…”

che Gabriele d’Annunzio eternò nel trionfo della morte.

(…) Da tutta la Terra d’Abruzzo corsero al richiamo poeti e musicisti; e Guido Albanese fu l’interprete fedele e squisito dei suoi compagni d’arte, l’istruttore dei cori, il concertatore efficace dei suoi e degli altrui canti. Quale sia il valore di queste canzoni noi non vogliamo dire. Ognuno può giudicarne.

Il carattere prevalente di esse è la schietta natura abruzzese. Per lo più sono affidate a molte voci: perché in Abruzzo la canzone è sempre corale e si svolge sopra accordi di terza e di quinta. È strano che l’abruzzese, individualista per eccellenza tra i popoli individualisti del mezzogiorno, non sappia cantare se non in coro. In ciò si distingue dal napoletano, che canta da solo. In Abruzzo le monodie sono rarissime e non hanno vera origine paesana; sono cantilene per lo più marinare e di evidente sapore barbaresco”.

Ecco, la nostra Canzone popolare è anche diversa rispetto a quella napoletana, forse anche perché il nostro popolo vive la dimensione comunitaria più di quanto possa apparire. E allora è l’espressione antropologica, è la natura delle popolazioni, sono i sentimenti che hanno dato forza e dimensione alla nostra Canzone Popolare, considerazione rafforzata anche da Pasquale Scarpitti che nel suo volume “Discanto” scrive:

“Discanto è una consonanza di canti su un tema fondamentale. In questa opera il tema è l’Abruzzo. Intorno ad esso innumerevoli voci creano un’ampia armonia, il cui libero dispiegarsi non obbliga un ascolto, una lettura in un ordine rigorosamente consequenziale. Ci si può fermare all’ascolto o alla lettura, in qualsiasi momento, partendo da qualsiasi punto; procedere secondo i suggerimenti interni e gli stimoli dell’istante. L’immagine della regione viene formandosi gradualmente con l’assommarsi e sovrapporsi di diversi canti”.

Per concludere questa riflessione introduttiva su questo libro che ruota intorno alla dimensione musicale del nostro territorio, cito sempre Cesare d’Angelantonio che parla della canzone identitaria per eccellenza dell’Abruzzo “Vola vola vola” e che nel 2022 compie cento anni di vita. Ma leggiamo le parole di d’Angelantonio:

“La popolarissima ‘Vola vola vola’, in poco tempo, s’ebbe il voto negativo dalla Commissione esaminatrice di un concorso (sempre intelligenti i giudizi ufficiali), ma passò dopo qualche mese in gara con altre canzoni, fu acclamata vincitrice da una votazione di popolo e d’improvviso le sue note risuonarono in un vagabondo organino da strada, e si offrirono in vendita copie della canzone senza il nome dell’autore. La folla anonima aveva già adottato la sua creatura ignota, riconoscendola del suo schietto sangue”.

Ecco la Canzone Popolare abruzzese.

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