Politica

“Il mostro marino”, esposizione straordinaria a Penne

Penne. Grazie ad una lodevole iniziativa dei rappresentanti dell’associazione Culturale “Pinna Vestinorum” sabato 4 agosto 2018, con inizio alle 19.00 e fino allo scoccare della mezzanotte, si terrà l’esposizione straordinaria di un dipinto, opera attribuibile alla mano di Albrecht Durer, raffigurante “il Mostro marino”. La manifestazione ha avuto i preziosi patrocini del Consiglio Regionale d’Abruzzo e del Comune di Penne e la sponsorizzazione di due importanti realtà imprenditoriali del : Vestina Gas e Rustichella d’Abruzzo. La presentazione dell’opera è a cura dell’architetto Marco Vinicio Zonin e dell’avvocato Loris Di Giovanni, da tempo impegnati a promuovere eventi legati all’arte nel territorio abruzzese ma anche fuori regione.

Presentazione generale:

la bellissima Collegiata di San Giovanni Evangelista e Apostolo di Penne, monumento religioso non più officiato, farà da cornice all’esposizione straordinaria di un dipinto, degli inizi del Cinquecento, che raffigura “Il Mostro marino”, attribuibile all’opera del grande pittore, del Rinascimento tedesco, Albrecht Dürer. Un’opera d’arte all’interno di un’altra opera d’arte: due supporti di contemplazione. Entrati in questa magica scatola, la bellezza e l’arte catturerà gli occhi, l’anima e la testa del visitatore. Occhi che giocheranno con la prospettiva d’uno sguardo moltiplicato mescolando le varie discipline: pittura, scultura e architettura. Ci si approprierà di un patrimonio visivo e culturale meraviglioso. Il “Mostro marino”, qui esposto, non poteva avere cornice più preziosa. Il dipinto, ancora in fase di studio, è ‘venuto alla luce’ recentemente, dopo un lungo letargo durato alcuni secoli. Un’opera affascinante, dal soggetto enigmatico; la composizione è altamente codificata e il suo significato controverso. In passato, nel Seicento, faceva parte della Collezione del Marchese del Carpio, Don Gaspar De Haro y Guzman (1629–1687), stimato politico e grande collezionista d’arte. È stato attribuito fin dal 1682, anno in cui fu redatto un inventario di questa prestigiosa Collezione, al grande Maestro del Rinascimento tedesco Albrecht Dürer (Norimberga 1471 – 1528). Il soggetto dell’opera esposta è ispirato ad una bellissima incisione del 1498 dello stesso Maestro dal titolo: “Il Mostro Marino” o meno frequentemente, “Il ratto di Amymone”. Il dipinto è databile ai primi decenni del Cinquecento. L’opera è stata eseguita con la tecnica nordica del “tuchlein”, dal termine tedesco che significa ‘piccolo panno o lino sottile’ e deriva da una citazione nel diario di Albrecht Dürer che usò questo termine durante i suoi viaggi nei Paesi Bassi nel 1520-1521.

Collegamenti dell’opera esposta con la città di Penne:

1 – Esiste, innanzitutto, una particolare relazione indiretta tra il pittore Albrecht Dürer e la Città di Penne o meglio la ‘Civita di Penne’. Il ducato di Civita di Penne fu concesso dall’Imperatore Carlo V ad Alessandro de’ Medici nel 1522. Qualche anno prima, nel 1515, Albrecht Dürer eseguì un’incisione, con la tecnica della xilografia su legno, raffigurante un rinoceronte che, nonostante le varie inesattezze anatomiche, divenne molto popolare soprattutto per il suo carattere surreale. Il duca di Penne Alessandro de’ Medici, basò la sua insegna, il proprio emblema, proprio sul Rinoceronte düreriano, suadente simbolo di forza, con il motto, in spagnolo antico, “Non Vuelvo Sin Vencer”, ossia “non ritorno senza vincere”.

2 – Con il grande Maestro si ha un altro collegamento con la città vestina; nello specifico con la figura di San Giovanni Apostolo ed Evangelista e conseguentemente con la chiesa a Lui dedicata, location della Mostra. Un’opera valorizzata e rivelata in un luogo che è stato dedicato all’Apostolo a cui il Dürer ha dedicato l’illustrazione dell’Apocalisse, che significa, appunto, ‘rivelazione’; il primo libro progettato, illustrato e pubblicato da un artista nel mondo occidentale.

3 – Ultimo riferimento che il nostro dipinto ha con la “Civita di Penne”, e soprattutto con le terre pennesi e teramane, sta nel Collezionista Don Gaspar de Haro, vecchio proprietario dell’opera. Uomo di larghe vedute, lasciò profonde tracce del suo governo nel Mezzogiorno d’Italia. Per restituire allo Stato ordine e tranquillità e per rendere possibile una ripresa nei commerci e nelle industrie, venne incontro ai secolari suoi bisogni; represse negli Abruzzi il brigantaggio contro il quale invano si era combattuto sino allora, facendo uso dell’esercito. Con il suo vigoroso e profondo risanamento si risolve la situazione abruzzese. Sotto il Marchese del Carpio l’Abruzzo fu diviso in tre province e nonostante l’istituzione della Regia udienza, quindi della nuova provincia di Teramo, non fu adottato alcun provvedimento per l’amministrazione delle finanze, cosicché per il teramano fu mantenuta la “cassa” (tesoreria) nella città di Penne.

Il Collezionista Marchese del Carpio a cui è appartenuto il nostro dipinto:

Il Marchese del Carpio fu un collezionista d’arte bulimico (sculture, dipinti, disegni, reperti archeologici, libri, oggettistica); la sua vita movimentata lo porterà da Madrid a Roma, come ambasciatore e infine a Napoli, come Viceré. Il soggiorno italiano non farà che accrescere la sua Collezione. Sul retro della tela, la cifra DGH, sormontata da una corona, con sottostante un numero di inventario, conduce alla sua Raccolta. Sotto la cifra è stampigliato il numero 584 è facilmente ritrovabile nel documentato inventario, che ad un certo punto recita così, con parole del perito consulente Pinacci: «“584. Un quadro che rappresenta un Mostro Marino con una Donna adoso, et da Lontano con veduta di Citta, si crede di mano di Alberto Duro di palmi 3. e 2l /2 in circa senza cornicia stimato in 50”. Il dipinto era situato nell’appartamento privato del Marchese ambasciatore, nella stanza ‘la secretaria’, del «Real Palacio de España». Tutta la Collezione inventariata nel 1682, con all’interno il nostro “Mostro marino”, partì poco dopo da Roma e giunse a Napoli, via mare, il 30 dicembre 1682. Il 15 novembre 1687 il Marchese muore a Napoli, per una malattia cardiaca, a soli 58 anni. Per motivi ereditari viene redatto un nuovo inventario che fu steso tra il 17 novembre 1687 e il 20 febbraio 1688. Al suo interno troviamo anche il dipinto raffigurante il “Mostro marino” dove si legge, più o meno, quanto descritto nell’inventario del 1682. Da questa data, del nostro dipinto si perdono le tracce, forse venduto o dato in pagamento per l’estinzione di qualche debito. Probabilmente, il dipinto è stato acquistato dal Marchese per la maliziosa raffigurazione della ninfa al centro della scenografia, soprattutto come raffigurazione del nudo femminile espressione della bellezza seduttiva. Nella composizione del soggetto del “Mostro marino”; l’artista ha scelto un impianto scenico di drammatizzazione e di spettacolarizzazione volto a celare il vero motivo pittorico principale: il ‘nudo femminile reclinato’, concetto di bellezza a sfumature erotiche. Un tema poi affrontato da molti artisti, nella prima metà del XVI secolo, con composizioni più o meno simili. Don Gaspar Mendez de Haro, aveva una certa predilezione per dipinti di questo tipo e con tutta probabilità fu anche il committente dell’opera la “Venere di Rokeby” o “Venere e Cupido” di Diego Velázquez, databile al 1648 circa. I nudi non erano molto comuni nella società spagnola del XVI e XVII secolo, anche perche non sono stati soggetti preferiti dalla Santa Inquisizione. I monarchi spagnoli, da sempre, amanti dei nudi mitologici, tenevano questo tipo di dipinti in una stanza speciale con accesso limitato per evitare di essere visti da occhi indiscreti. Nonostante queste restrizioni dell’ambiente spagnolo verso la creazione e il possesso di opere d’arte di contenuto erotico, è un dato di fatto che in alcuni settori della nobiltà di Madrid, emulando i costumi della corona stessa, si era goduto di gallerie d’arte con un’ampia presenza di nudi, quasi sempre giustificata da temi mitologici o biblici e raramente con iconografia esplicita e diretta. Tale circostanza non è probabilmente dovuta solo ad una questione di gusto dei titolari di tali raccolte, ma anche dal desiderio di mostrare i privilegi che la vicinanza alla corona aveva consentito, tra i quali il potere di trasgredire o sfidare certe convenzioni sociali.

Descrizione del soggetto:

Nel “Mostro marino”, il Dürer arricchisce di fascino la scena con un fantastico essere così credibile, nei sui dettagli, da far dubitare della sua non-esistenza. Questo tritone, così fiero e sicuro di sé, con la sua corona di corna, il suo scudo fatto di guscio di tartaruga e la potente pinna caudale, guarda scaltro e abbastanza furbescamente da sapere esattamente come fare a portare via fanciulle, così belle, nelle profondità del suo regno d’acqua. La composizione ci fornisce dettagli sufficienti per mettere insieme ciò che è avvenuto: una nobile signora – la sua elaborata acconciatura suggerisce il suo status sociale – mentre fa il bagno in un estuario vicino alla riva del mare, o in una larga ansa di un fiume, viene rapita dal pesce tritone. A sinistra, le altre tre donne, che stanno in acqua a fare il bagno, si ritirano frettolosamente per sicurezza verso la terraferma, mentre una quarta sviene per orrore sulla riva. Accanto a loro un uomo che corre, con il turbante, alza le mani in un gesto di impotenza e disperazione. Il destino della bella signora sembra segnato… Dürer suggerisce uno ‘spettacolo esteriore’, di blanda resistenza da parte della donna rapita destinata, oramai, al sorprendente destino che la sta travolgendo. La sua espressione vagamente angosciata è, semmai, contraddetta dal linguaggio del suo corpo. Nell’incisione è anche possibile vedere la mano destra di Lei che si appoggia languidamente su tutta l’anca nuda, mentre la sinistra la lascia quasi sfiorare i genitali della creatura. Nel dipinto presentato, l’autore opta per un atteggiamento meno lascivo ed osé da parte della ninfa. Lei, comunque, sembra appoggiarsi a suo agio con la parte posteriore al suo fantastico rapitore con tanto ‘aplomb’ come se i due protagonisti fossero tranquillamente, a casa e in relax, su una ‘dormeuse’.

Dürer ha diviso la sua scena pittorica in due parti: la parte superiore ci narra un paesaggio classico di una città murata dominata dall’alto da un castello. In lontananza una nave, le vele fluttuanti, batte la sua strada lungo la costa, verso l’orizzonte. Questa parte della scena sembra abbastanza tranquilla… Ma è la metà inferiore della composizione che trabocca d’azione, e ci spinge verso il centro del dramma che si svolge davanti a noi. Il ritmo del progredire del mostro è indicato dalla scia schiumosa e dai flussi distanti da esso, fuggendo via col suo premio umano. Come immagine di stravaganza misteriosa, di potere e di fascino malizioso, Il “Mostro marino” intriga e attira lo spettatore più di ogni altro suo lavoro. Il soggetto, attraverso l’incisione, ebbe una rapida diffusione e fu molto conosciuto, in tutta Europa, fin dagli inizi della sua creazione che, come detto, risale all’anno 1498. Già agli inizi del ‘500, il paesaggio di sfondo ispirò molti pittori di quell’epoca, anche italiani.

Varie interpretazioni del Soggetto:

1 – Una prima chiave di lettura del soggetto può essere riferita ad alcuni fatti di una storia vera accaduta e salita alle cronache nel XV secolo, in territorio germanico, e rimasta nel mito del popolo tedesco di quell’epoca. Per un po’ di anni diverse giovani che si erano avvicinate al fiume, per fare il bagno o lavare i panni, misteriosamente scomparvero senza lasciare traccia o indizio. La spiegazione popolare è stata quella di diffondere l’esistenza di un mostro marino, un mostro della palude, che rapite le giovani, sole e ancora ignari della vita, le prendesse come concubine o mogli.

2 – Una seconda interpretazione, più intrigante: per Dürer, nel 1498, il “mostro marino del Rinascimento” era il delfino dalla pelle liscia da lui raffigurato, invece, con le scaglie di un pesce. Si può pensare che questa sia una composizione altamente codificata. E Dürer fu il maestro dell’inganno… In realtà ci sono tre figure in questa composizione: la Donna, che indossa come copricapo una corona milanese; l’Uomo barbuto che tiene come scudo un carapace di tartaruga e porta le corna sulla testa; il Mostro marino dall’epidermide squamosa che trasporta la donna. L’attrezzo che l’uomo barbuto tiene dietro lo scudo della tartaruga è una mascella d’asino di Sansone, considerato dagli studiosi biblici, come essere l’arma più potente della Bibbia ebraica. Dürer già aveva usato questo simbolo, prima, e lo utilizza, ora, nel contesto di questa incisione, per indicare la persona che nella composizione ha più potere.

3 – Una terza interpretazione: Il Tritone è nell’atto di rapire, per ordine di Nettuno, Amimone, una delle figlie di Danae. Amimone è stesa sul dorso di questo Dio marino, che nuota nell’acqua, dirigendosi verso la parte destra. Il fondo rappresenta, alla sinistra, forse la città di Arco, che è situata a piedi d’un alto monte, a una certa distanza dal mare. Vicino al bordo sinistro della composizione vi sono le tre sorelle d’Amimone, che si bagnano nell’acqua, e s’affrettano di guadagnare la riva. Accorre il padre, esprimendo la grande disperazione alzando le braccia sopra la testa. Un’altra sorella cade svenuta, sulla riva.

Differenze tra il dipinto e l’incisione: Il confronto tra l’incisione (cm 18,7×24,6) e la nostro tela (cm 67×75), oltre alla consistente differenza dimensionale, fa risaltare la maggiore ampiezza di scena della versione dipinta. Inoltre, in quest’ultima, in alto a destra, sopra il veliero, si scorge la veduta di una città; forse uno scorcio tratto da qualche bozzetto o acquerello eseguito dal Durer lungo il viaggio per l’Italia (forse Trento dal lato nord, come da un suo acquerello del 1494). La città è attraversata da un fiume e catene montuose con colline coltivate che vanno a degradare. Durer in altre occasioni era solito utilizzare i propri bozzetti, o studi ad acquerello, inserendoli nelle varie composizioni dipinte o incisione. Altra differenza la presenza di un albero, forse un pino, forte riferimento al Mediterraneo, di alto fusto che insiste ai piedi della rupe, al centro della scena del nostro dipinto. Sempre nel dipinto perdono forza alcuni riferimenti simbolici e forse la scena è meno maliziosa. La ninfa non ha più la bocca aperta, come nell’incisione; è rilassata e tiene nella mano destra parte del velo che copre le nudità. La mano sinistra, invece, è più morbida e non ha, come nell’incisione, l’indice teso ad indicare chissà cosa…

Considerazione finale sul dipinto: Albrecht Dürer aveva tutto: la sensibilità di un Raffaello, la genialità di un Leonardo, e, guardando i suoi autoritratti, un bell’aspetto. Mette a frutto l’esperienza dei viaggi effettuati in Italia, probabilmente già a metà degli anni Novanta del Quattrocento, sperimentando modelli legati all’arte italiana. Lui realizza arte ibrida, quasi postmoderna, dalla instabile apparenza. Nel soggetto del “Il mostro marino,” la donna nuda apparentemente rapita, cerca con molta difficoltà, di adagiarsi sul retro di un tritone che sembra la voglia portare via. Ma, come detto prima, la storia non è chiara, Dürer, semplicemente, può averla realizzata solo per fare un nudo. In ogni caso, la sua attenzione sembra disegnata sullo sfondo, un albero ornato e ben definito, un paesaggio settentrionale della montagna e le città-fortezza, realisticamente dettagliati in ogni foglia e in ogni pietra. Una volta che i nostri occhi ammirano quest’opera, tendono a rimanere lì, immersi nella natura, lasciando la ricca signora e il suo mostro dietro, come degli strani randagi del Mediterraneo in un paesaggio alpino.

Esposizione del “Mostro Marino” e sua collocazione nella Chiesa di San Giovanni Evangelista:

Il dipinto “Il Mostro marino” verrà collocato davanti all’altare maggiore della Chiesa di San Giovanni Evangelista, per offrire un’adeguata fruizione visiva al pubblico. Per arrivare ad esso, il visitatore, passato l’atrio d’ingresso, avrà di fronte a sé una meravigliosa quinta barocca da attraversare. Punto focale e di arrivo del teatrale e diafano spazio architettonico della bellissima Collegiata sarà la luminosità del presbiterio con, appunto, lo scenografico altare maggiore.

Arricchiranno la serata le visite guidate al campanile della chiesa a cura della Pro Loco di Penne che ha collaborato all’evento.

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